Premessa
Le mafie basano il proprio potere sulla violenza e sul denaro. Questa semplice osservazione, che ai più potrà risultare banale, svela però un’asimmetria nel senso comune di tutti noi in riferimento ai fenomeni di criminalità organizzata, che vede le mafie protagoniste di fatti di sangue, di congiure, di soprusi, di traffici, spesso protagoniste nell’immaginario prodotto dal cinema, dalla letteratura, dall’entertainment. Ma che contemporaneamente sottovaluta gli aspetti quotidiani di queste attività criminali che comprendono la necessità per i mafiosi, per poter dispiegare il loro potere di condizionamento, di possedere una presentabilità formale per sé e per le proprie ricchezze, che hanno quindi bisogno di essere ripulite dal loro “peccato originale”. Da questa necessità nasce il riciclaggio, come fenomeno sociale prima ancora che finanziario e penale.
Ci vuole una notevole dose di fantasia per immaginare l’entità del denaro che gira vorticosamente da un Paese all’altro grazie al riciclaggio. Anche perché non ne esiste una stima affidabile. Invece, basta aprire un giornale od osservare –anche distrattamente – la realtà quotidiana per intuire la provenienza di queste ingenti ricchezze: traffico di sostanze stupefacenti, di armi, di persone, proventi delle estorsioni, elusione ed evasione fiscale, corruzione. Economia criminale.
In uno studio del Fondo Monetario Internazionale (1) del 2001 si stima l’entità delle attività illegali per gli anni ’90 in Italia in circa il 2% del PIL, ovvero 27.000 miliardi di Lire; mentre più recentemente l’ISTAT ha stimato (questa volta in euro) l’economia sommersa del nostro Paese, all’interno del quale si trova la quota di origine criminale, in una forbice tra 255 e 275 miliardi di euro, ovvero tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del Pil (2). Da dati così diversi emerge l’impossibilità di stimare con esattezza l’entità dell’economia criminale, né di valutare la dimensione dei flussi finalizzati al riciclaggio. Il quadro che emerge però restituisce la rilevanza assoluta del fenomeno.
Il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI/FATF), organismo intergovernativo che dal 1989 si occupa di sviluppare e promuovere politiche di contrasto al riciclaggio di denaro sporco ed il finanziamento del terrorismo, definisce il riciclaggio (“money laundering”) come «il fenomeno con il quale denaro proveniente da attività criminose viene introdotto nell’economia legale, al fine di dissimularne o occultarne l’origine illecita (3)»
Gli effetti di questa ricchezza a spasso per il pianeta sono molto diversi tra loro ma tutti profondamente negativi. In uno studio della Banca d’Italia (4) si evidenziano i principali effetti distorsivi sulle principali variabili macroeconomiche (risparmio, tassi di interesse, debito), sull’allocazione delle risorse e sull’efficiente impiego delle stesse (per esempio sulla distribuzione della ricchezza all’interno di un paese o sul suo livello di occupazione) o sulle normali dinamiche concorrenziali e di mercato. Gli effetti macroeconomici dei flussi finanziari finalizzati al riciclaggio possono assumere a livello mondiale una dimensione talmente significativa, se pensiamo per esempio ai proventi dei cartelli internazionali del traffico di droga, da alimentare il dubbio in alcuni studiosi e ricercatori – inquietante, provocatorio ma non irrealistico – secondo cui «se la criminalità, con l’attività sottostante e il connesso riciclaggio si affermassero su di una scala sufficientemente ampia, allora chi decide le politiche macroeconomiche dovrebbe tenerne conto nelle proprie decisioni (5)». Saremmo davvero a quel punto non tanto lontani dalla legalizzazione della mafia.
Ma ciò che più incide nella realtà di un territorio, di un Paese, in relazione al fenomeno del riciclaggio è il profondo senso di ingiustizia che si afferma ogni volta in cui esso viene percepito e osservato, minando la fiducia della società nei confronti del sistema giuridico; umiliando l’idea della convivenza soggetta a regole comuni a tutti e creando un incentivo straordinario alla furbizia, al sopruso ed alla violenza.
Quadro normativo internazionale ed italiano
La reazione al fenomeno del riciclaggio di denaro di provenienza criminale da parte della comunità internazionale parte dalla constatazione della sua dimensione finanziaria, tanto che il primo provvedimento di “autoregolamentazione” (6) del fenomeno (1980) è indirizzato agli intermediari finanziari e non prende in considerazione la dimensione penale del riciclaggio. Negli anni successivi la crescente presa di coscienza della gravità e della dimensione del fenomeno ha portato ad un intensificarsi degli interventi normativi di contrasto, a livello nazionale ed internazionale, oltre che alla creazione di gruppi, comitati ed entità preposte alla definizione di regole internazionali, al monitoraggio dei casi nazionali o regionali, allo studio delle sue evoluzioni (cfr. Tabella 1).
Anche l’Italia ha recepito nel proprio ordinamento le norme internazionali di contrasto al riciclaggio ed alla corruzione, soprattutto in attuazione delle Direttive comunitarie, mediante il d.lgs. 231/2007. Gli obiettivi dichiarati di tale normativa hanno privilegiato la prevenzione del reato, al fine di tutelare l’integrità del sistema finanziario ed economico e la correttezza dei comportamenti. A tal fine ha ridefinito l’apparato di vigilanza e controllo , privilegiando i meccanismi di collaborazione tra operatori privati e autorità pubbliche (amministrative, investigative e giudiziarie) (7).
Il d.lgs. 231/07 ha introdotto alcuni elementi innovativi nell’ordinamento italiano, prevedendo l’azione congiunta di enti e autorità pubblici a sorveglianza delle attività a rischio, insieme ad una componente privata composta da varie categorie di soggetti in grado di collaborare efficacemente alla lotta al riciclaggio. Quindi, al ruolo di vigilanza della Banca d’Italia, delle Autorità di Vigilanza, dell’Ufficio Informazione Finanziaria (UIF), è stato affiancato quello degli intermediari finanziari (banche, società finanziarie, imprese ed enti assicurativi), degli ordini professionali (notai, avvocati, commercialisti, esperti contabili) e di altri soggetti interessati (gestori di giochi e scommesse, società di custodia e trasporto di denaro). Alcune previsioni contenute nel decreto assumono particolare rilievo per tutti i soggetti citati: l’obbligo dell’adeguata verifica della clientela, in termini di identificazione delle parti coinvolte nella transazione, di raccolta di informazioni sulla natura della prestazione e di costante controllo sull’operazione; e la segnalazione delle operazioni sospette (SOS) all’UIF e da questa alla Direzione Investigativa Antimafia o al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria. Inoltre, sono stati introdotti degli obblighi rafforzati in relazione alle c.d. “Persone politicamente esposte”, grazie ai quali sono stati recentemente scoperti alcuni casi di corruzione o di abuso da parte di esponenti politici.
Inoltre, l’informatizzazione delle segnalazioni di operazioni sospette e la loro analisi centralizzata da parte dell’UIF ha portato ad un significativo aumento delle segnalazioni, passate dalle 840 del 1997 alle quasi 49.000 del 2011, conseguenti benefici sia per la prevenzione che per il lavoro di indagine (8).
Evoluzioni normative future: introduzione del reato di “autoriciclaggio”
Tra le possibili evoluzioni normative si segnala che sono in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati tre proposte di legge volte ad introdurre nell’ordinamento italiano il reato di autoriciclaggio, con il fine dichiarato di potenziare e di rendere maggiormente efficace il contrasto al crimine organizzato, conformando l’ordinamento alle indicazioni contenute nelle direttive comunitarie in materia (9). Tale modifica del codice penale (art. 648-bis) consentirebbe di punire anche l’ipotesi in cui il riciclaggio sia compiuto dalla stessa persona che ha commesso il reato presupposto (p.es. estorsione, traffico di stupefacenti, manipolazione di appalti, ecc.), cioè il reato attraverso il quale si sono incamerati i profitti illeciti poi riciclati. In altre parole, secondo i proponenti, l’introduzione del reato di auto riciclaggio fornirebbe un ulteriore strumento nella lotta alle mafie, agevolando il lavoro investigativo non solo in relazione al reato presupposto ma anche seguendo le tracce del denaro frutto dei reati e tutti i soggetti coinvolti. Risulta difficile comprendere come, nonostante l’esperienza al riguardo di quasi tutti i paesi dell’UE, il vasto consenso espresso sull’argomento dal Consiglio Superiore della Magistratura, dalla Commissione Antimafia, dal Procuratore Nazionale Antimafia, dalla Banca d’Italia, il provvedimento non abbia ancora ricevuto l’approvazione del Parlamento. E anzi, in occasione della recente discussione sulla c.d. “Legge Anticorruzione”, l’autoriciclaggio – inizialmente inserito nel provvedimento – «sia stato successivamente stralciato anche perché ritenuto dal Governo materia estranea al provvedimento, votato peraltro con la fiducia (10)».
La legalità non basta
A fronte di regole di contrasto sofisticate e di norme sempre più stringenti, l’entità del riciclaggio di proventi illeciti è tutt’altro che diminuita. L’impetuoso sviluppo degli strumenti finanziari e l’affermarsi della tecnologia dell’informazione hanno agito “su entrambi i lati della medaglia”: rafforzando le potenzialità del controllo e della prevenzione ma offrendo strumenti sempre nuovi alle organizzazioni criminali per legittimare la propria spaventosa ricchezza.
La produzione di norme o il loro continuo aggiornamento alle mutate condizioni, non necessariamente garantiscono il raggiungimento dell’obiettivo di migliorare le condizioni di un Paese, della Società, la qualità della vita delle persone, sebbene debbano essere considerate attività necessarie a tali scopi. I comportamenti evasivi, il mancato rispetto di una legge, il legittimo dubbio sulla ragionevolezza di un provvedimento ne minano l’efficacia. L’interesse economico, politico, sociale, crea un potente ostacolo al dispiegamento degli effetti di un provvedimento, anche quando questo si occupi – come nel caso dei provvedimenti antiriciclaggio – di fenomeni criminali spaventosi, come la lotta alle mafie. Basta poco per confermare quest’impressione, in relazione al tema trattato.
Come si evince dalla successiva Tabella 3 (11), a fronte della responsabilità di segnalazione evidenziata dal d.lgs. 231/2007, nel 2011 il numero complessivo di segnalazioni provenienti da esperti legali, contabili, professionisti in genere e altri soggetti interessati, rappresenta meno dell’1% del totale segnalazioni (492 rispetto alle 48836 complessive), nonostante il decisivo contributo che queste categorie potrebbero dare nella lotta alle mafie ed al riciclaggio.
«Per le specifiche competenze professionali e le informazioni di cui dispongono, i professionisti dovrebbero costituire un punto di forza del sistema di prevenzione. Peraltro, gli interessi legati all’esercizio della professione finiscono spesso col prevalere sugli obblighi di segnalazione (12)».
Al di la di qualsiasi legge, di qualsiasi obbligo, ciò che può rafforzare il processo di contrasto al riciclaggio e di lotta alle mafie non può che essere la consapevolezza che ogni volta che pensiamo di far prevalere il nostro interesse individuale sull’interesse pubblico rappresentato dalla liberazione dalle forme di violenza e di schiavitù mascherate da favore che le mafie impongono, in realtà contribuiamo a peggiorare la nostra vita. L’affermarsi di buone pratiche nelle amministrazioni pubbliche, la volontà di garantire l’accesso di tutte le cittadine e cittadini ai diritti fondamentali in condizione di libertà, creano quell’antimafia sociale, quotidiana che può creare un senso di giustizia e porre un argine e sconfiggere le mafie. Colpendo i fenomeni criminali mediante l’erosione del terzo pilastro sul quale poggiano le mafie (oltre alla violenza ed al denaro) ovvero la connivenza. Abbattendo quella “zona grigia”di complicità senza la quale nessuna forma di criminalità potrebbe esistere.
4 Marcello Condemi e Francesco De Pasquale (a cura di), “Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”, in “Quaderni di Ricerca Giuridica”, numero 60, febbraio 2008.
5 «A common theme in research is that “if crime, underground activity and the associated money laundering take place on a sufficiently large scale, then macroeconomic policymakers must take them into account”». Quirk, P., “Macroeconomic Implications of Money Laundering” IMF Working Paper, WP/96/66, 1996, citato in IMF, “Financial System Abuse, Financial Crime and Money Laundering”, pag. 9, Background Paper,February, 12, 2001.
7 Giovanni Castaldi (Direttore dell’Unità di informazione finanziaria – UIF della Banca d’Italia), “Riciclaggio e corruzione. Prevenzione e controllo tra fonti interne e internazionali”, 2012.
8 Dati e grafico riportati in Unità Informativa Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia, “Rapporto Annuale 2011”, 2012.
9 “Disposizioni in materia di riciclaggio e impiego dei proventi di reato da parte dei concorrenti nel medesimo” (C. 3145 Bersani, C. 3872 Naccarato e C. 3986 Torrisi), relazione dell’on. Donatella Ferranti, in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, 2012.