La Lunga Marcia della Memoria di daSud
di Danilo Chirico
Sei tappe. Ogni tappa un tema. Dal riciclaggio alla giustizia, dal racket alle collusioni. Lo abbiamo chiamato Roma Mafie Tour. Abbiamo allestito un gigantesco pullman, dato appuntamento a rappresentanti istituzionali, esponenti della società civile, cittadine e cittadini e li abbiamo portati in giro per la città di Roma nei luoghi della criminalità organizzata e delle mafie (nel frattempo, abbiamo notato, sul web sono comparsi degli operatori che hanno davvero organizzato dei tour per i turisti nella Capitale). Un giro inusuale per Roma che ci serve per raccontare a chi non ha voglia di stare a sentire che le mafie sono una realtà nella Capitale, da moltissimo tempo.
Lo ricordo ancora il rappresentante di un’associazione che ci dice, quasi sottovoce: “Siete allarmisti”. Ma non eravamo allarmisti allora, e non lo siamo neppure oggi. Piuttosto stavamo raccontando quello che era sotto gli occhi di tutti, da Ostia alla Tuscolana, da San Basilio al centro storico. Quel giorno siamo stati ricevuti dal sindaco Ignazio Marino, appena eletto, poi nel corso di quell’estate del 2013 abbiamo continuato il nostro viaggio in centro e in periferia.
Quel giorno il nostro portavoce Luca Salici arringava con il suo microfono (lo riconoscete nella foto?): “A Roma le mafie si sono appoggiate a clan locali e si sono saldate. Il tour non vi porta nelle periferie, ma nel centro economico e politico della città. Questa città è un porto di clan, dove il controllo delle mafie è molto forte”.
Quel giorno, con una tappa inattesa del tour in piazza Bologna, abbiamo denunciato finalmente quello che tutti sapevano: anche a Roma si paga il pizzo. Carmen Vogani aveva raccolto la denuncia di un commerciante e l’avevamo fatta nostra.
Ed è stato solo un tassello di un lungo percorso fatto sulla città di Roma. Quando siamo sbarcati qui – e abbiamo aperto lo Spazio daSud al Pigneto (vi racconteremo la storia) – pensavamo di dover raccontare ai romani che esisteva un problema mafie nel Sud del nostro Paese. Ben presto ci siamo resi conto che un problema mafie, radicato, sottovalutato, a volte persino negato, esisteva a Roma e che di quello ci saremmo dovuti occupare. Così abbiamo fatto. I dossier, innanzitutto. Quello su Ostia (prima delle operazioni di polizia), poi l’inchiesta sulla droga (Roma Tagliata Male) portata sin dentro il Campidoglio, il lavoro “Mammamafia” sul welfare parallelo fornito dalle mafie in città. E il lavoro con le amministrazioni locali, per esempio. Il protocollo Municipi Senza Mafie (nel novembre del 2013, in cui chiedevamo a tutti i presidenti di assumere cinque impegni concreti contro i clan: un anno siamo andati a verifica e quasi nessuno aveva rispettato gli impegni presi). E le denunce, ancora su Ostia e sul Sesto Municipio, che sono finite all’attenzione della Commissione Parlamentare Antimafia grazie al lavoro svolto dalla nostra Celeste Costantino. E grazie a lei, l’incontro con la presidente Rosy Bindi che assume pubblicamente (la serata al mitico Teatro Centrale Preneste) l’impegno di portare il caso Roma dentro i lavori della commissione (se spulciate i verbali delle sedute lo dice: “ci siamo impegnati con daSud e lo abbiamo fatto”). E poi il protocollo Roma Senza Mafie, predisposto insieme ad Avviso Pubblico, fatto sottoscrivere dai candidati a sindaco nell’ultima tornata elettorale. Anche il sindaco Gualtieri aveva firmato, salvo poi non essere (ancora?) conseguente con due dei principali impegni: una commissione consiliare sulle mafie e un organismo che tenga insieme a lavorare le associazioni e le istituzioni. Sul modello di tutte le altre città. Finora non c’è stato nulla da fare. Hanno iniziato alcuni municipi, anche al Settimo dove abbiamo proposto l’istituzione di un osservatorio, abbiamo lavorato alla scrittura della delibera e dove da qualche settimana – finalmente – l’Osservatorio si è insediato. E poi il lavoro nella città: il primo murale antimafia della Capitale realizzato da Diavu.
la prima mostra di fumetti contro le mafie Mc Mafia, al Museo di Roma in Trastevere
il lavoro con i comitati di quartiere, soprattutto al Pigneto e a Tor Pignattara, l’inchiesta sulle periferie e i giovani (Under), il lavoro di inchiesta sociale sul caso Diabolik, sui misteriosi incendi di Centocelle, su Tor Bella Monaca, l’apertura di un’Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti e il lavoro nelle scuole, il lavoro di promozione culturale e di advocacy e – tra le altre cose – l’idea di costruire nel 2015 Spiazziamoli: 50 piazze contro le mafie, in tutta la città, in tutti i quartieri, contemporaneamente. Quel giorno noi abbiamo portato in piazza, davanti al Colosseo, un gioco di società gigantesco che si chiama Mammamafia. Questo è il racconto che ne aveva fatto Repubblica all’epoca. Molto divertente.
È stata una stagione importante, che ha avuto dei momenti positivi e per la quale dobbiamo registrare dei fallimenti. È cresciuta la consapevolezza tra molti cittadini, in pezzi del terzo settore. Non ha risposto come avrebbe dovuto la classe dirigente diffusa di questa città che nonostante le inchieste della magistratura, gli allarmi che provengono dal mondo del giornalismo, il lavoro di alcune associazioni, continua a sminuire, ignorare, praticare la strategia dello struzzo che tiene la testa sotto la sabbia nell’attesa – purtroppo vana – che tutto passi. E invece no. La nuova scoperta degli interessi della ‘ndrangheta, così come i recenti fatti legati ai lidi di Ostia (si torna sempre lì: gli incendi, gli interessi opachi che emergono dalle inchieste giornalistiche sulle nuove concessioni sono un allarme che va preso seriamente) sono lì a dimostrare che la strada è ancora lunga.
Non ci fermeremo nel denunciare. D’altra parte, veniamo da una scuola antica e fiera, quella di Peppe Valarioti, politico, insegnante, intellettuale ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1980. Peppe diceva: “Se non lo facciamo noi, chi deve farlo?”.
A proposito, l’ultima cosa che abbiamo fatto a Roma sulle mafie è ottenere l’intitolazione di un parco a Peppe. Andate a visitarlo, si trova qui:



