LA CONVERSAZIONE
di Danilo Chirico con Enzo Ciconte
Lo storico Ciconte: profondamente sbagliata l’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio
La Commissione parlamentare Antimafia (che, va ricordato, ha la possibilità di svolgere indagini «con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria») è stata uno strumento fondamentale nella storia politica del nostro Paese. Soprattutto grazie al lavoro in questa Commissione la lotta alla mafia è diventata davvero un tema politico, abbiamo potuto scoprire come ha funzionato il potere sotterraneo del nostro Paese, hanno trovato gambe diverse battaglie politiche contro le cosche, sono nate le più importanti riforme legislative antimafia.
È ancora così? Io credo di no, purtroppo. Infatti a circa due anni dall’insediamento – e a quasi metà del suo percorso – la commissione parlamentare antimafia guidata dalla deputata di Fratelli d’Italia, Chiara Colosimo mi pare un organismo sostanzialmente paralizzato dalle liti, che stenta a trovare una strada credibile per le sue indagini e che – soprattutto – viene usato (e abusato?) come facile spauracchio all’interno di basse e persino banali polemiche politiche. Una grande occasione mancata e il rischio non così lontano di trasformare la più prestigiosa delle commissioni bicamerali e d’inchiesta in un organismo inutile, forse persino dannoso.
Ne parlo con Enzo Ciconte, storico delle mafie, docente universitario, autore di decine di libri sulle mafie, ex deputato ed ex consulente della commissione antimafia.
Enzo, qual è un primo bilancio sulla commissione Colosimo?
Sinora direi un bilancio ampiamente deludente.
Lo penso anche io. Ma perché sei così netto?
La commissione parlamentare antimafia deve fare essenzialmente due cose. La prima è analizzare lo stato in cui si trovano le mafie, individuare i settori e gli affari in cui proliferano, i territori in cui operano, fare delle valutazioni sul presente e anche rispetto al passato. Può farlo svolgendo proprie indagini e audizioni e aiutandosi con le inchieste della magistratura, aiutandosi con le indagini della magistratura e facendone di proprie. La seconda è quella di avanzare proposte legislative. Direi che in entrambi i filoni non ci sono cose rilevanti da segnalare.
La sensazione che ho avuto sinora è che la commissione sia stata utilizzata come strumento di supporto acritico al governo. So bene che stiamo parlando di un organo politico, con una maggioranza politica corrispondente a quella di governo. Ma qui forse siamo oltre. Un esempio vale per tutti: il governo vara il Decreto Caivano e la Commissione Antimafia per settimane, forse per mesi, sembra occuparsi solo di Caivano. È solo una mia impressione?
No, la commissione si è assolutamente accodata al governo e Caivano è un indicatore. A questo proposito vorrei dire che se vogliono occuparsi di criminalità minorile o del degrado di alcuni territori possono trovare entrambe le situazioni in molte parti d’Italia, non devono per forza andare a Caivano.
E’ una scelta di governo anche la linea scelta per l’inchiesta sulle stragi di mafia del 1992-1993?
In questo caso si va oltre il governo. Quella sulle stragi è un’iniziativa del tutto singolare: si vuole compiere un’inchiesta partendo soltanto da via D’Amelio (la strage del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti e le agenti della sua scorta) e assumendo come unica causa per quella strage il famoso dossier mafia-appalti del Ros del 1991, un’era geologica fa.
Cosa avrebbe dovuto fare Chiara Colosimo?
Se fossi stato presidente di questa Commissione avrei preso i risultati del lavoro della commissione del presidente Giuseppe Pisanu – esponente di Forza Italia, ex ministro dell’Interno, che guidò la commissione nel 2008 e che non è certo stato un rivoluzionario – e sarei partito da lì.
Cosa aveva fatto Pisanu?
Fece delle audizioni di grande interesse e ad ampio raggio e un grande lavoro di raccolta delle indagini. C’è molto da lavorare su quanto ha fatto la commissione Pisanu. E partendo da lì avrei fatto una ricognizione delle tante carte di indagine che ci sono in giro per l’Italia, perché le stragi non sono solo quelle di Palermo del 1992, ma ci sono anche quelle del 1993 di Roma, Firenze e Milano. Quella della Commissione Colosimo è invece una scelta riduttiva (e anche in contraddizione con alcune sentenze della magistratura) che trovo davvero incredibile. Come si fa a sostenere che la strage di via D’Amelio è frutto soltanto del dossier mafia e appalti e non ha nessun rapporto, per dirne una, con la strage di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone?
Non possiamo pensare che si tratti di ingenuità. Qual è allora la ragione che vedi dietro la scelta di Chiara Colosimo?
Secondo me è una rivincita postuma del Ros dei carabinieri nei confronti della procura di Palermo. E questo non significa che non voglia dare importanza al dossier stato-mafia. O che la procura non possa avere sottovalutato quel dossier.
Una cosa del tutto probabile.
Sì, è probabile che la procura commise un errore. Ma molti che hanno lavorato su quelle carte hanno sostenuto, e io lo condivido, che quel dossier non era così pregnante rispetto al determinarsi delle stragi.
Quale pensi allora che sia la ragione delle stragi?
La penso come Carlo Alberto Dalla Chiesa quando parlando delle ragioni che avevano portato alla morte di Pio La Torre…
Nella celebre intervista rilasciata a Giorgio Bocca il 10 agosto 1982, a meno di un mese dalla sua morte…
Esattamente. Disse che Pio La Torre fu ucciso “per tutta la sua vita”. Ecco, io credo che anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino siano morti “per tutta la loro vita”.
Spiegati
Se si riduce un omicidio del genere a un unico elemento non si capisce quello che davvero è successo. Il biennio 1992- 1993 è stata una delicata fase di passaggio: Le cose vanno inquadrate almeno dal gennaio 1992, le condanne del Maxiprocesso in Cassazione (senza Corrado Carnevale), l’eliminazione di Salvo Lima, l’inizio della Seconda Repubblica, le stragi di Palermo, l’elezione del Presidente della Repubblica, le stragi di Roma, Firenze e Milano, l’arresto di Riina, il comparire delle Leghe che poi all’improvviso spariscono…
Se non metti tutto nello stesso ragionamento non puoi capire…
Esattamente. Si sta commettendo lo stesso errore che si commise a proposito dell’omicidio di Piersanti Mattarella quando si disse che era stato ucciso per alcuni appalti. Non può essere così, non si deve minimizzare. Se vuoi capire devi mettere tutto insieme. Nell’ultima intervista rilasciata da Paolo Borsellino…
Quella alla francese Canal plus, registrata il 21 maggio 1992 e mai andata in onda fino al 2000 quando fu ritrovata da Rainews all’epoca guidata da Roberto Morrione…
Sì, si parla di un certo stalliere di nome Vittorio Mangano, viene fuori il profilo di Marcello Dell’Utri. Mi chiedo: può una commissione che vuole capire che cosa è successo – anche a Paolo Borsellino – non tenere questa indagine, questi fatti dentro il suo ragionamento?
Non dovrebbe, eppure stiamo andando da tutt’altra parte. Per quella che sembra, come dicevi tu, una rivincita del Ros ma che sembra anche una voglia molto forte di una parte politica di chiudere una volta per tutte ogni sospetto sul ruolo della mafia dentro la nascita di Forza Italia… Questo però significa che dobbiamo rassegnarci a non avere una verità su quegli anni così delicati nella storia del nostro Paese?
Io non mi rassegno affatto. C’è bisogno di magistrati, c’è bisogno di politica, c’è bisogno di studiosi che rivisitino quegli anni. Io lo sto facendo.
Andiamo avanti, torniamo al lavoro della Commissione. Che durante il lavoro di questi anni è stata caratterizzata da un fenomeno particolare: è stata agitata come uno spauracchio nelle polemiche politiche ed è stata usata anche come ricettacolo di documenti, dossier, audizioni che poco o nulla dovrebbero riguardare il lavoro dell’antimafia. Parlo dell’inchiesta di Perugia sul presunto dossieraggio che ha riguardato il finanziere Striano e il magistrato Laudati. Oppure delle dichiarazioni del ministro della Difesa Crosetto che, nel novembre del 2023, disse di essere a conoscenza di una sorta di complotto (sic!) dei magistrati contro il governo e di volere per questo essere audito al Copasir o in Antimafia (poi non se ne fece nulla perché lo stesso Crosetto sminuì tutto e fece riferimento, non so quanto veritiero, non a un complotto segreto ma a dichiarazioni pubbliche di magistrati durante un convegno). Fino alle due inchieste sulle presunte infiltrazioni mafiose nel comune di Bari e sullo scandalo Toti in Liguria. Dovevano finire in Antimafia questi casi?
Assolutamente no. Stiamo parlando di un’anomalia della Commissione che deve svolgere il suo ruolo istituzionale e che se invece si occupa d’altro diventa o un quarto grado di giudizio della magistratura (si sovrappone alle indagini o le può condizionare) o uno strumento di polemica politica. E’ assolutamente sbagliato quello che accade, questa racconta in antimafia di tutti questi casi. La verità è che si è partiti con il piede sbagliato, non è stato fatto un programma di legislatura, quindi non si sta seguendo nessuna vera linea di indagine e di lavoro. E il risultato è questo.
Accade per incultura, per mancanza di senso delle istituzioni o c’è anche un ragionamento politico?
C’è sicuramente incultura, ma io ho anche l’impressione che non vogliano davvero arrivare a capire che cosa accade sul territorio e nel nostro Paese. La mafia non è quella che abbiamo conosciuto in passato, adesso le cose sono più complicate perché le mafie adesso sono incistate con i poteri economici, finanziari, politici rappresentati anche da questo governo. Per cui per giustificare la propria esistenza inventano anche queste questioni. Perché per capire le mafie devi proprio cambiare paradigma.
E fin qui la maggioranza. Ma la minoranza? Faccio un esempio, molto alto. Uno dei momenti più importanti della storia della commissione antimafia è stata la relazione di minoranza di Pio La Torre, Cesare Terranova e altri del 1976. È la relazione più citata, quella che ha svelato per prima l’essenza delle mafie. È stata scritta in un momento in cui la maggioranza negava, sottovalutava, nascondeva. Facendo un parallelismo rispetto a oggi: questa minoranza potrebbe svolgere un’altra funzione? Potrebbe supplire alle carenze della maggioranza? Potrebbe svolgere un suo percorso conoscitivo e di denuncia?
Mi auguro che lo facciano. Ma in questo momento mi pare che stiano giocando in difesa piuttosto che in attacco, che stiano subendo l’iniziativa politica degli altri invece di farne una propria.
È un tema che riguarda la politica, non solo la commissione antimafia.
Certo, non è solo una cosa che riguarda i commissari dell’antimafia. Il problema è che la mafia è completamente scomparsa dall’agenda politica e anche da quella giornalistica. Nei giorni scorsi ho letto su un quotidiano ligure le lamentele del procuratore di Imperia che diceva che su quel territorio nessuno denuncia, che c’è troppa omertà. Gli ha risposto il sindaco di Imperia Claudio Scajola
Vecchia volpe della politica.
E ha detto: normale che sia così, significa che la mafia non c’è. Io sono rimasto a bocca aperta, ma questa notizia non ha valicato i confini delle pagine interne di un quotidiano genovese. Nessun giornale nazionale ne ha parlato, nessun rappresentante politico ha ripreso questa notizia creando un caso.
C’è un problema complessivo di classi dirigenti. Quanto ai partiti, purtroppo, io credo abbiano rinunciato ad avere un proprio punto di vista autonomo sulla mafia e l’antimafia. In passato c’era una posizione politica di partito, poi è iniziato un lento disimpegno. Prima si è lasciato il tema antimafia a pochi specialisti, poi i partiti hanno espulso la discussione dal proprio interno e hanno esternalizzato la costruzione della loro posizione antimafia affidandosi a magistrati, scrittori, rappresentanti delle associazioni. Il risultato è stato la scomparsa dell’antimafia politica.
Condivido, non c’è una conoscenza dei fenomeni territoriali e non c’è una autonoma valutazione delle cose a livello nazionale per aprire ragionamenti, imporre questioni, fare attività politica sulla mafia. Per questo dico che, al di là delle singole vicende, il tema è che nei partiti e dentro la commissione antimafia nessuno sta contrastando adeguatamente l’idea che la mafia non c’è più, non esiste più.
Cosa faresti se fossi in commissione?
Partirei da una ricognizione dei territori, dal Sud al Trentino, alla Valle d’Aosta per vedere davvero cosa succede. E poi farei un’analisi della mafia economica (in questo caso soprattutto la ‘ndrangheta) per capire cosa si sta muovendo nell’economia reale del nostro Paese.
Potrebbero farlo anche i commissari di opposizione.
Il commissario ha tutti gli strumenti possibili, ha anche a disposizione documenti segreti e riservati, può fare tutte le richieste che vuole e mi pare difficile che l’ufficio di presidenza possa dire di no. Non solo. I commissari della commissione antimafia hanno un altro ruolo fondamentale: fare da supporto alla politica sul territorio.
Basterebbe ripartire da qui per mettere in crisi il modo in cui (non)funziona questa commissione antimafia.
Ricordo che all’inizio degli Anni Ottanta quando si discuteva della legislazione antimafia si facevano le riunioni nelle federazioni per ragionare sui capisaldi delle normative. Erano discussioni in cui i parlamentari ascoltavano i territori per capire cosa succedeva e informavano e diffondevano la cultura politica antimafia. Lo stesso avvenne quando si trattava della legge Rognoni – La Torre. Ricordo che Francesco Martorelli, esponente del Pci, che era commissario dell’antimafia venne in Federazione a spiegare le nuova legge articolo per articolo. Bisogna ripartire da qui, dai fondamentali. Bisogna riportare la discussione sui territori, dentro i partiti e anche oltre i partiti. Sui territori c’è la possibilità di conoscere cosa si muove e cosa deve cambiare. Parto da una cosa semplice. I beni confiscati hanno avuto un’incidenza oppure no? Hanno prodotto dei risultati oppure no? E lo stesso riguarda anche i giornalisti. È fondamentale il ruolo di giornali e tv: dovrebbero indagare di più su cosa davvero si muove sui territori, prima che arrivi la magistratura non solo raccontando quello che sta facendo la magistratura che – per definizione – agisce soltanto dopo che un reato è stato commesso.
Voglio affrontare un ultimo tema che ho lasciato volutamente alla fine per evitare – proprio come sta accadendo alla commissione – di restare impantanato dentro i personalismi. Parlo del prestigio della Commissione Antimafia. Pensavamo di poterci lasciare alle spalle le polemiche furenti del passato (contro la presidente Rosy Bindi per la decisione di presentare prima delle elezioni regionali del 2015 la lista dei cosiddetti impresentabili e quelle che hanno caratterizzato la -peraltro negativa – gestione del presidente Nicola Morra del M5S). E invece questa Commissione dal primo giorno è stata caratterizzata dalle polemiche per la scelta di Chiara Colosimo come presidente (criticata per i suoi rapporti di vicinanza all’ex terrorista di estrema destra Luigi Ciavardini e per la parentela con l’avvocato Paolo Colosimo condannato nell’ambito della vicenda Fastweb-Telecom Sparkle). E per la presenza – in quota M5S – in commissione di Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho (e il loro lavoro di magistrati svolto in passato che li renderebbe incompatibili con la carica di commissari almeno per alcune materie). Senza entrare nel merito di una discussione che ci porterebbe molto lontano, e segnalando tuttavia – seppure a livelli diversi e per ragioni differenti – un problema di opportunità e soprattutto di postura istituzionale che riguarda tutti e tre questi protagonisti, quello che vorrei chiederti è se queste polemiche così violente sono il segno della caduta del prestigio dell’istituzione Commissione parlamentare antimafia.
Non credo. Al netto della capacità dei singoli commissari e delle singole vicende, il Pd ha indicato un ex ministro, il M5S due magistrati, la destra un uomo forte come Gasparri, la Colosimo è vicina a Meloni. Significa che un certo interesse c’è. Piuttosto il problema generale mi pare che con la cattura di Provenzano prima e di Matteo Messina Denaro poi sia passata l’idea che la mafia è finita e che non si devono rompere le uova nel paniere. Lo ripeto: qui nessuno sta contrastando adeguatamente l’idea ormai diffusa che la mafia non c’è più, non esiste più. Bisogna ripartire dalle basi.