Considerato da tutti il boss più influente della Capitale, Senese esercitava un potere quasi esclusivo nella zona est della città
Ieri i 28 arresti decisi dalla Dda di Roma che confermano quanto già raccontavamo nel 2013 con il dossier sul sistema droga a Roma
Bene l’operazione, ma necessario continuare a indagare su come si muove e agisce il potere criminale in relazione a quello cosiddetto legale in una città dove la droga rimane il principale collante
Roma, 2 dicembre 2020 – Ci sono voluti anni di inchieste, arresti e testimonianze per far luce sulle gambizzazioni, gli omicidi, le estorsioni e i fiumi di droga che tra il 2011 e il 2015 hanno ridefinito gli equilibri della criminalità romana che ha accumulato montagne di soldi, inquinato l’economia sana della città e sconvolto il senso originale di comunità dei territori e dei quartieri che viviamo e attraversiamo tutti i giorni.
Dentro questo scenario Michele ‘O Pazzo Senese era un capo, vero. I 28 arresti decisi ieri dalla Dda di Roma su quello che è stato definito il cartello del narcotraffico operante nella Capitale lo confermano.
Senese – oggi in carcere in regime di “alta sicurezza” – gestiva le operazioni del cartello dettando ordini perfino da dietro le sbarre e dai luoghi delle sue vacanze dorate scelte in alternativa alla prigione.
Era considerato da tutti il boss più influente della Capitale con un potere quasi esclusivo nella zona est di Roma. Attorno a lui – a gestire per lui il territorio – luogotenenti, viceré, bande e gruppi. Tra loro anche Fabrizio Piscitelli, il Diabolik, ucciso poco più di un anno fa in un agguato al Parco degli Acquedotti.
Uno scenario – quello emerso dall’inchiesta di ieri – che conferma ciò che nel dicembre 2013 avevamo raccontato con il nostro dossier #RomaTagliataMale che ricostruiva le dinamiche criminali legate alla droga. Già allora – quanto a nomi, pesi, gerarchie, relazioni e potere esercitato – erano chiari il ruolo preminente di Senese e il rapporto di subordinazione delle altre organizzazioni sulla città.
Oggi ci piacerebbe poter dire che si chiude un lungo capitolo di una #RomaCittàdiMafie rimasta a lungo nell’ombra e negata. Ma non è così. La droga resta ancora il principale affare di Roma e gli equilibri nel tempo si sono evoluti. Resta quindi necessario indagare come si muove e agisce il potere criminale in relazione a quello cosiddetto legale.
Un quadro realistico potremo averlo però solo se – al contrario di come è stato fatto in questi anni – al fianco del lavoro dei magistrati ci sarà una lettura dei fatti (da parte di giornalisti, associazioni, realtà politiche, mondo produttivo) rigorosa e aderente alla realtà. Senza farsi guidare da sensazionalismi, improvvisazioni, senza raccontarsi – dopo ogni fatto di cronaca, dopo ogni arresto – di essere di fronte al boss più importante, alla cosca più potente, al clan più temibile.
Le mafie e le organizzazioni criminali sono purtroppo una cosa seria e seriamente vanno indagate e combattute.