La barbarie sul corpo delle donne continua. Il femminicidio, ultimo atto di una violenza di genere quotidiana, è sempre presente. Vive nelle nostre case, nelle relazioni, nelle strade. I carnefici sono nel 70% all’interno del nostro contesto familiare o affettivo, come dicono i dati Eures. Parliamo dei nostri mariti, compagni, ex, amanti, padri, fratelli. Tre casi su quattro di violenza domestica, prima di un femminicidio, sono stati segnalati alle istituzioni. Ma lo Stato non ha risposto adeguatamente: quasi nessun sostegno alle vittime e solo provvedimenti restrittivi (più o meno lunghi) per chi esercita violenza. Una visione troppo superficiale e semplicistica per affrontare un problema strutturale della nostra società.
Il grande numero di femminicidi in Italia dal 2000 a oggi dimostrano che la violenza di genere non può essere combattuta con un approccio securitario. Bisogna piuttosto investire sulla prevenzione, la formazione e il rafforzamento della rete dei centri antiviolenza già esistenti. Lo ripetiamo da tempo, soprattutto di fronte ai provvedimenti spot dei Governi, ultimo in ordine di tempo quello riguardo al decreto femminicidio del Governo Letta-Alfano e alla sua nefasta applicazione durante l’attuale esecutivo Renzi. Tra mappature errate, ripartizione scellerata dei finanziamenti, taglio delle strutture di eccellenza, accrediti a singhiozzo e un piano antiviolenza mai del tutto applicato, il premier ha dimostrato la poca sensibilità riguardo ad un tema che coinvolge milioni di cittadini e che si interseca con le difficoltà economiche, la precarietà esistenziale e il futuro incerto per le donne e gli uomini di questo paese.
Oggi è il caso di Irene Focardi, modella uccisa, fatta a pezzi e abbandonata dentro ad un sacco dell’immondizia, a far indignare nuovamente istituzioni e opinione pubblica. Il compagno, in stato di fermo in queste ore, è il primo indagato per il suo omicidio. Soltanto i prossimi interrogatori potranno stabilire la sua colpevolezza o la sua estraneità ai fatti. Un caso che si inserisce in una sequela continua di violenza perpetrata sulla pelle delle donne, e che non sempre ritroviamo nelle pagine della cronaca nazionale. Non sono raptus di follia, né drammi della gelosia. Non è amore. Si tratta di femminicidio, una vergogna di cui il nostro paese deve liberarsi.
Abbiamo esultato per l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne lo scorso agosto. Ma nessuno la vuole metter in pratica, attivando gli strumenti di prevenzione previsti. Questo Governo e questo Parlamento dimostrano di avere altre priorità. Ciò è più grave per un esecutivo che non ha mai attivato il ministero delle Pari opportunità e per il Parlamento più rosa di sempre.
L’Italia non ha mai iniziato un percorso culturale che parta ad esempio dalla scuola. Ha finto di farlo approvando in maniera distratta gli strumenti che sono arrivati dall’Europa, senza rispettarli. In tutti i paesi europei ad esempio l’educazione all’affettività, prevista dall’art. 14 della Convenzione di Istanbul, è un elemento caratterizzante di molti percorsi didattici. La Svezia dal 1956 ha inserito l’educazione sessuale nelle scuole, includendo negli anni Settanta, insieme a Germania, Francia e Olanda, anche l’insegnamento degli aspetti psicologici e sociali: i cambiamenti nel corpo, la riproduzione, le emozioni, la salute e i danni della violenza di genere. Oggi lo scenario europeo in cui si sono sviluppate queste esperienze virtuose vede solo escluse l’Italia e la Grecia, unici Stati a non investire sulla corretta formazione, l’educazione all’alterità e il contrasto all’omofobia e bullismo.
Nella “buona scuola”, da questa settimana in discussione in commissione Istruzione, non c’è traccia di educazione sentimentale come propongo nel mio disegno di legge, depositato più di un anno e mezzo fa in Parlamento. La ministra Giannini aveva assicurato che avrebbe inserito l’educazione all’alterità nei programmi scolastici e che erano state individuate già le risorse economiche per farlo. Parole a cui evidentemente a cui non sono seguiti i fatti.
Nei prossimi giorni continueremo a chiedere a gran voce un decreto per l’assunzione dei precari della scuola e a criticare fortemente i finanziamenti agli istituti privati e la figura del preside-manager, che rischia di rivelarsi una perfetta arma clientelare. Soprattutto porremo la stessa attenzione alla qualità della didattica e all’introduzione dell’educazione sentimentale. Perché la formazione dei cittadine e dei cittadini di domani non può essere considerata secondaria. Dobbiamo fornire finalmente agli studenti degli strumenti per gestire i conflitti, i fallimenti, i rifiuti e le complesse fasi dell’adolescenza, sistematizzando tutti i progetti sperimentali avviati nelle scuole italiane e creando un percorso istituzionale chiaro. La lotta al femminicidio passa anche da questo.
* Il contributo della deputata Celeste Costantino pubblicato sull’Huffingtonpost