Estetica dell’antimafia e Quarto Stato, la rivoluzione daSud
di DANILO CHIRICO
Il primo dicembre 2007 eravamo a Lamezia Terme. Quella sera si svolge un evento, la Notte Arancio, dedicata al Myamar. Ma noi siamo lì perché da qualche tempo abbiamo avviato il progetto per il restauro del Murales antimafia di Gioiosa Ionica, dedicato a Rocco Gatto, il mugnaio comunista ucciso dalla ‘ndrangheta, cui Alessio Magro, Claudio Careri ed io abbiamo dedicato un libro, Il sangue dei giusti. Ne abbiamo parlato a Savignano sul Panaro durante una presentazione organizzata da Libera Informazione con il grande direttore Roberto Morrione: la più bella intervista che mi abbiano mai fatto. Un corso di giornalismo condensato in un’ora.
E ne abbiamo parlato con Daniele Silvestri e Peppe Voltarelli, Francesco Di Giacomo, il compianto ex formidabile cantante del Banco del Mutuo Soccorso, e con il leader dei Tete de Bois Andrea Satta con il quale ad agosto siamo stati al Festival di Roccella Jazz per una serata straordinaria dedicata proprio a Rocco Gatto. Così quella sera convochiamo una conferenza stampa, a cui partecipano anche Stefania Grasso, figlia di Cecè, meccanico di Locri ucciso perché aveva deciso di non pagare la mazzetta, e Alfredo Borrelli, figlio di Francesco Borrelli, carabiniere ucciso a Cutro per avere impedito con il suo corpo che un agguato mafioso si trasformasse in una strage.
Insieme a loro, e a Libera, lanciamo la campagna per il restauro del Quarto Stato dell’Antindrangheta, lo chiamiamo così (e da allora prende questo nome), il murale di Gioiosa. A un anno dall’omicidio di Rocco Gatto, avvenuto il 12 marzo del 1977, lo hanno realizzato gli artisti della Cgil di Milano (guidati da Giovanni Rubino) e del Pci di Gioiosa Ionica (coordinati da Corrado Armocida) nel 1978. Si trova nella piazza principale del paese. Dopo trent’anni quel murale sta scolorendo e insieme ai colori si sta perdendo anche la memoria della vicenda di Rocco Gatto, del sindaco antimafia Francesco Modafferi e del prete coraggio Natale Bianchi. Sono stati anni straordinari, gli Anni Settanta a Gioiosa Ionica. Girando per il web, e nei nostri vecchi hard disc, devono esserci ancora le foto e le immagini di quella conferenza stampa. Annunciamo che nell’estate del 2008 faremo un evento itinerante in provincia di Reggio Calabria con l’obiettivo di restaurare il murale (non abbiamo ancora un euro per farlo…). Si chiamerà La Lunga Marcia della Memoria, un evento che poi poi replicheremo – seppure in altre forme – negli anni successivi.
Ce la facciamo: il 16 luglio si parte da Reggio Calabria, si attraversa tutta la costa jonica e si arriva fino a Gioiosa Ionica, dove c’è un campo internazionale di volontariato gestito dall’associazione don Milani di Francesco Rigitano, e dove sui ponteggi sono a lavoro – a trent’anni di distanza dalla prima volta – proprio Armocida e Rubino.
Racconto quel viaggio, giorno per giorno, in un diario che tengo per il Manifesto. Un racconto video viene realizzato da Nessuno Tv, una bella emittente che purtroppo non esiste più, che ha accettato di mandare una piccola troupe. La compongono Luigi Politano, Valerio De Paola e Vito Foderà, che a daSud è rimasto attaccato e che oggi di daSud è diventato presidente. C’è anche un gruppo di giovanissimi registi e attivisti: realizzano un documentario sulla Lunga Marcia e qualche mese dopo vinceranno un premio.
Mentre scrivo, vorrei raccontare ogni tappa di quel viaggio: Reggio Calabria, insieme alla Cgil, con Niccolò Fabi e Pino Marino, poi Motta San Giovanni (dove c’è anche Raffaele Lupoli, inviato da La Nuova Ecologia e in forza anche lui a daSud), Palizzi, Melito Porto Salvo, Polistena, Pietra Cappa (è la prima volta, Deborah Cartisano parla di suo padre Lollò – ne abbiamo parlato nel numero zero di questo media civico. Succede qualcosa di magico: per la prima volta raccontano la loro storia Alfredo Borrelli e Giovanni Tizian, che ha perso suo padre Peppe da bambino e cerca ancora giustizia). Non sono gli unici familiari di vittime innocenti delle mafie che incontriamo, di cui raccontiamo la storia. Oltre a Stefania, Deborah, Alfredo, Giovanni, ci sono anche Mario Congiusta (padre di Gianluca), Liliana Carbone (madre di Massimiliano), Ciccillo Gatto (fratello di Rocco), la famiglia di Celestino Fava e gli amici di Nino Moio (uccisi a Palizzi) e gli Invece (la band che s’è vista privare del bassista Totò Speranza).
Succedono cose commuoventi, ma anche cose strane e divertenti quell’estate.
Come quando a metà della Lunga Marcia torniamo a Reggio Calabria. Nel programma del campo di volontariato abbiamo inserito una seconda puntata reggina perché i ragazzi possano visitare i Bronzi di Riace e assistere al concerto evento dei Duran Duran organizzato dall’Amministrazione comunale. Sui dépliant, che evidentemente devono avere girato parecchio, ci sono il mio numero di telefono e quello di Danila Cotroneo: riceviamo decine di chiamate da fan di Simon Le Bon in cerca di informazioni, come se fossimo stati noi gli organizzatori. A un certo punto diventa un gioco e iniziamo anche a darne, non so quanto inventate.
Mentre attraversiamo i paesi del Reggino e raccontiamo le storie delle vittime innocenti della ‘ndrangheta, il cantiere per il recupero del murale va avanti spedito. Troppo, secondo qualcuno. Perché cresce il consenso, ma aumenta anche la pressione ambientale. Anche quando non te lo aspetti. Perché non restiamo sorpresi delle minacce, più o meno velate, che riceviamo dal clan Ursini (uno di loro è appena uscito dal carcere). Quello che non possiamo immaginare sono le tre visite in due settimane degli ispettori del lavoro: fa un certo effetto, considerando i mille morti sul lavoro ogni anno e la carenza strutturale di personale. È strano, per usare un eufemismo. Ma non c’è problema, quel cantiere è in perfetto ordine. L’ultima volta l’ispettore si presenta che il cantiere è già chiuso, il murale è terminato e stiamo solo aspettando il 27 luglio per svelarlo a tutti i cittadini. Ma la porta è aperta. Giovanni Rubino, uno degli artisti, fiero della sua opera, la mostra a un amico in anteprima. Non ha le scarpe da lavoro, ma un paio di ciabatte per il mare. L’ispettore del lavoro non può crederci. Finalmente può farci la multa: credo siano stati 500 euro. Paghiamo con un certo sdegno e un certo orgoglio. Arriva intanto il 27 luglio, Luigi Politano e Celeste Costantino, che ha seguito tutta la Lunga Marcia, devono partire per questioni di lavoro e si perdono l’inaugurazione e la festa. Un vero peccato.
Perché è un giorno che non dimenticheremo mai quel 27 luglio.
Anche perché abbiamo imparato molte cose. La prima: mai fidarsi fino in fondo di un sindaco. Avevamo prenotato la piazza sin da gennaio. Ma quel giorno, all’improvviso, ce la ritroviamo piena di auto d’epoca che ci impediscono di allestire la piazza sino a sera. Non solo. Ci vengono negate le sedie per il pubblico che, credo, abbiamo – diciamo così – preso in prestito da una scuola.
Ma niente può rovinare quella festa.
Suonano i Tete de Bois e Francesco di Giacomo, Peppe Voltarelli e gli Invece, sul palco ci sono anche gli attori Nino Racco e Giuseppe Cederna, e Alessandro Ape per quella che credo sia stata una di un totale di due esibizioni della sua vita. Recitava la poesia Vecchia Calabria. Ricordo l’intervento dell’ex sindaco di Rosarno Peppino Lavorato e della deputata Angela Napoli, dell’assessore provinciale Michele Tripodi e di Tonio Dall’Olio, di Libera, che è un grande oratore ma che quella sera fa il suo più bel discorso: “Non l’abbiamo amata abbastanza la Calabria”, dice. Sento ancora risuonare quelle parole. E ha ragione.
Quando viene giù il velo che copre il murale è un’emozione indimenticabile. C’è un lungo applauso, ci teniamo stretti per la felicità, la commozione.
In quel momento Vito Foderà non è in piazza, è tornato in ostello per recuperare delle attrezzature e ha fatto tardi. Dopo avere ripreso ogni attimo di quella Lunga Marcia, ha perso il taglio del nastro. Me ne dice di tutti i colori, credo sia stata la nostra unica lite in tutti questi anni.
La Lunga Marcia della Memoria è il primo vero momento aperto di daSud.
E’ un atto fondativo che cambia per sempre la nostra identità. Adesso sentiamo di avere una responsabilità pubblica. Non è un caso che, di lì a qualche mese, rientrati a Roma, decidiamo di aprire una sede nel quartiere Pigneto: lo Spazio daSud.
C’è un’altra cosa, fondamentale, che abbiamo imparato quella sera: non può esistere un’antimafia senza un’estetica dell’antimafia. Lo spettacolo che abbiamo portato in quella piazza è artisticamente importante, ha un contenuto giusto e coraggioso, resta nella memoria di quel territorio. E tuttavia non è all’altezza dal punto di vista estetico: palco piccolo e buio, audio fragile rispetto all’ampiezza della piazza, scenografia misera.
Terminato lo spettacolo e finito di brindare, accompagno in hotel uno degli artisti: facciamo due chiacchiere. Parliamo di quanto è difficile praticare un’antimafia credibile agli occhi delle persone. Forse per questo che a un certo punto sente di dover mettere a confronto l’impatto sul pubblico del nostro buio spettacolo di qualità rispetto a quello delle “illuminatissime” serate organizzate dalla ‘ndrangheta in Calabria. Il paragone è impietoso.
È da quel preciso momento che l’estetica dell’antimafia diventa un imperativo per daSud.
Mai più un evento che non dia la stessa cura e attenzione alla forma e alla sostanza. Quella stessa sera nasce una riflessione sull’immaginario delle mafie e dell’antimafia che ci portiamo dietro da venti anni, che abbiamo praticato per tanto tempo in solitudine. Le nostre idee e le nostre parole hanno viaggiato per anni nell’aria senza trovare un approdo preciso, poi lentamente e all’improvviso sono arrivate a destinazione. E poco importa che non sempre vengano ricondotte a noi. Quel che conta è che adesso, finalmente, l’estetica dell’antimafia, la costruzione di un nuovo immaginario delle mafie e dell’antimafia è diventata patrimonio dell’intero movimento e anche di un pezzo del mondo culturale e artistico italiano.
Ne siamo molto fieri.
Ps. Il Murale di Gioiosa Ionica, a distanza di quasi venti anni dal restauro, sta scolorendo ancora una volta. E ancora una volta va recuperato. Alla guida del Comune di Gioiosa Ionica c’è una coalizione formata da persone che hanno contribuito a quella Lunga Marcia del 2008. Sarebbe un delitto ancora più grave permettere che i colori del Quarto Stato dell’Antimafia vadano perduti per sempre.