
illustrazione di Aurora De Francesco
Lea ha sempre avuto una valigia pronta. Sempre in bilico, sempre in fuga, mai davvero in viaggio. Nasce da una famiglia di ‘ndrangheta, i Garofalo, a Petilia Policastro in provincia di Crotone. Ha solo nove mesi quando suo padre muore ammazzato, al paese c’è una faida in corso che durerà anni e Lea cresce con la legge – ripetuta a cantilena – del sangue lava sangue. Quando conosce Carlo Cosco ha 14 anni e pensa che quel ragazzo che parla di lasciare la Calabria per trasferirsi a Milano possa essere quello giusto per cambiare vita. A 16 anni prepara la sua prima valigia per fare la fuitina perché quella relazione non sta bene alla sua famiglia. I Cosco non sono abbastanza di peso per i Garofalo. E vuole evadere Lea. A Milano, pensa, non ci sono le strade sporche di sangue, i morti ammazzati, le faide e le vendette. A 16 anni una fuga d’amore può somigliare a un’evasione. Ma Carlo Cosco ha altri piani: Milano è solo una piazza più grande con più possibilità di fare affari e la ‘ndrangheta da quelle parti è già ben radicata. Lea rimane incinta prestissimo, sua figlia Denise nasce che ha solo 17 anni.
Quando nell’ambito dell’operazione investigativa “Storia infinita” Carlo viene arrestato per la prima volta, Denise non ha ancora compiuto sei anni. Lea decide che mai porterà la figlia in carcere a far visita al padre. Conosce bene la storia infinita delle donne, madri, mogli e figlie che fanno la spola dal carcere a casa. Non è quella la vita che voleva per lei e sua figlia. Lei invece in carcere ci va ed è lì che dirà al compagno che ha deciso di lasciarlo e andare via insieme a Denise. La reazione di Carlo è furiosa, un uomo d’onore non può essere lasciato, meno che mai mentre è in carcere. Dovranno intervenire le guardie a sedarlo. Ma Lea non retrocede, di nuovo prepara la valigia e lascia Milano, con Denise. La scelta di allontanarsi, lasciare Carlo, negargli Denise è già uno strappo enorme, ma Lea fa di più e denuncia alla polizia quello che sa sui traffici e sugli omicidi avvenuti tra la Lombardia e la Calabria ad opera della famiglia Cosco e non solo. Una donna che parla con gli sbirri è una scheggia impazzita, un deviazione dal percorso prestabilito che non può essere tollerata, un intoppo nella cinghia di trasmissione delle regole non scritte della ‘ndrangheta che vedono nella famiglia il nucleo fondativo. È una piccola rivoluzione. Lea e Denise entrano nel programma di protezione testimoni. Sono anni di grandi disagi, solitudine e difficoltà economica: trasferimenti continui ed improvvisi. Denise non fa in tempo ad ambientarsi in una scuola che subito bisogna ripartire. Vivono con la valigia sempre pronta. Per paura, per necessità. Inoltre le oltre 500 pagine di dichiarazioni rese ai magistrati non porteranno agli arresti che sperava. Così nel 2009 Lea è stanca, sfiduciata, decide di tornare in Calabria, rinunciando al programma di protezione testimoni. Denise invece è un’adolescente, sta per finire il liceo e vorrebbe iscriversi all’università. Vivere la sua vita. Lea scherza con sua figlia: facciamo la valigia, andiamo a vivere in Australia. Non lo faranno mai. A novembre dello stesso anno Carlo Cosco chiede un incontro a Lea con la scusa di parlare del futuro della figlia, le lascia intendere che ha messo dei soldi da parte per l’università di Denise. È così che Lea cade nella trappola dell’ex compagno. Si incontrano a Milano il 24 novembre. Quel giorno Lea viene rapita, torturata e uccisa, il suo cadavere bruciato, affinché del corpo della “traditrice” non rimangano tracce. Perché se per la giustizia le dichiarazioni di Lea non hanno avuto il peso necessario, per Carlo Cosco sono un macigno. Lea è una spina nel fianco, l’esistenza in vita di quella donna ne impedisce infatti l’ascesa criminale.
È un femminicidio quello di Lea, un femminicidio di mafia. Il processo per il femminicidio di Lea Garofalo parte senza un cadavere, le indagini portano a Carlo e ai suoi complici ma il corpo di Lea non c’è. Denise si costituisce parte civile e testimonia contro il padre. Carlo Cosco si difende dicendo che Lea gli ha chiesto i soldi ed partita per l’Australia. Ma Denise sa bene che quell’ultima valigia sua madre non l’ha mai fatta e mai l’avrebbe fatta senza di lei. Il processo è in bilico, finché grazie alle dichiarazioni di un pentito finalmente vengono ritrovare le ceneri di Lea. Per Cosco non c’è più scampo. Viene condannato all’ergastolo per l’assassinio di Lea Garofalo.
Qualche tempo dopo, in un’intervista Denise, che ha contribuito con la sua testimonianza a ottenere la condanna del padre: «Non voglio nascondermi. Non siamo noi testimoni di giustizia a dover essere protetti. Noi abbiamo fatto solo il nostro dovere. Sono loro, gli uomini e le donne della ’ndrangheta, a doversi nascondere e ad essere fermati. (..) Vorrei essere io a vivere come è giusto vivere a vent’anni nel posto dove sono nata, con i miei amici che oggi possono fare le cose che io non posso fare. Io voglio vivere, amare e voglio avere la libertà di essere felice anche per mia mamma”. Magari libera di fare un’altra valigia. Per essere finalmente e fino in fondo libera. Quella che la ragazza con la valigia non è mai riuscita a chiudere.